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THE STOLEN CHILD

THE STOLEN CHILD

Leonardo Anker Vandal

dal
10 maggio 2024
al
9 giugno 2024
Orari

dal giovedi alla domenica, ore 17:00 > 20:00

Prezzi

ingresso libero

Leonardo Anker Vandal
The Stolen Child

Sabato 11 maggio -> Domenica 9 giugno

Da giovedì a domenica
dalle 17.00 alle 20.00
Ingresso libero

Inaugurazione
Venerdì 10 maggio 2024, ore 19.00

Leonardo Anker Vandal è un artista totale. Nessuna discrepanza fra arte e vita. Nessuna intercapedine fra mondo interiore e lo spazio abitato dai suoi passi e dai suoi atti.
Il suo percorso – che parte dal rigore delle terre nordiche e dalla nativa Danimarca - trova la sua sintesi in opere densamente minimali, ove il tempo e il caos vibrano in un ordine sopito su tele intransigenti e che si fanno scultura.

The Stolen Child - titolo evocativo da cui nessuno può dirsi interamente salvo - porterà lo spettatore a muoversi in un territorio di mezzo, di acqua e radici, di profonde tasche del tempo, di oscuro e cicatrici, di fuori scala e bellezza fuor d’estetica.
Sarà la materializzazione di un sogno che oscilla tra fiaba gotica e incubo.

Leonardo Anker Vandal ha scelto di affondare in un percorso a ritroso fra i grovigli di un vissuto che è personale, ma si fa universale nella possibilità di una catarsi che è dell’uomo, ancor prima che dell’artista. Allo spettatore la possibilità di seppellire temporaneamente l’autocoscienza in favore dell’opportunità di rifarsi crisalide; di specchiarsi nelle trasparenze di un muro di lattice e optare se, e in quale aldilà, cadere o rialzarsi.

 

 

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FATE, MOSTRI, MITI E ALTRA UMANITÀ

Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre (Sallustio)

 

Un bambino è stato rubato.

Non si tratta di un titolo della più scura cronaca nera, ma è l’inizio di un viaggio.

Un bambino è stato rubato ed è rimasto accanto a noi, semplicemente a lato, non visto.

Un bambino è stato rubato, era dentro di noi ed ora non è più lì.

Un bambino è stato rubato, strappato da ognuno di noi.

Un bambino è stato rubato, per sottrarlo alle lacrime prima che lo incatenino al mondo.

 

Chi ha rubato il bambino?

Sono state le fate.

E cosa sono le fate? Le fate sono emanazione del destino, il loro stesso nome ce lo dice, sono buone, sono ridenti, sono oscure, sono doppie come Morgana, sono riflessi, sono acqua che specchia, oscure e pure come una sorgente. Sono canto e silenzio, sono desiderio che uccide, sono lontane dalla colpa, sono gesto divino. Possiamo chiamarle ninfe, sirene, ondine, restano sempre loro ad ogni latitudine, in ogni epoca, sono sempre e comunque mostri.

 

Dal tempo di Gilgameš alla più recente cinematografia il mostro è sempre accanto all’uomo, non c’è mito o narrazione nel quale non sia presente una creatura dall’aspetto sovrumano.

Chi è dunque il mostro? Perché abbiamo costantemente bisogno di lui? A questo termine siamo soliti associare, in una definizione immediata, caratteristiche di malvagità e bruttezza, mantenendo fede alla dualità greca della perfezione del bello e del buono. Non a caso siamo soliti chiamare mostro chi si macchia di efferatezze. Eppure il nostro linguaggio ci dice anche altro “Quel tale è un mostro di bravura”, dunque?

Nella sua etimologia il termine mostro rappresenta in verità il prodigio, il segno del divino ed è solo nel medioevo che si fa di esso la rappresentazione dell’orrifico. Il prodigioso aspetto del dio Pan, per esempio, perfetto ibrido umano animale, nell’antichità ne connota lo stato divino in terra, essendo un dio ctonio, ovvero non destinato alle altezze olimpiche, mentre nell’età di mezzo allo stesso aspetto corrisponde la sintesi formale del male: da creatura silvestre e musicale diventa rapidamente notturno, oscuro, perverso.

 

Mostri, fate, sirene, creature terrene, infere e ultraterrene hanno una genealogia comune: sono tutti figli del divino. Il mostro è il fenomeno fisico in terra che spalanca dinnanzi all’occhio dell’uomo l’invisibile, l’indicibile, il totalmente altro, l’assoluto profondo, ciò che è perfettamente fuori da noi, così come ciò che abita i recessi più nascosti e scuri delle caverne del mistero interiore.

Storie di mostri, storie di miti. Nel mito ogni cosa è universale, siamo richiamati alle radici, siamo spinti ad infilare le mani nella terra per attecchire nell’etereo. Il mito si impone, con la sua complessità e i suoi paradossi, ci disorienta per poi guidarci, scuote la ragione, perché la ragione faccia esercizio di umiltà e si spalanchino davanti a noi le porte cangianti delle stanze segrete nelle quali risiediamo e dove hanno abitato i nostri antenati. La casa del mito è la casa di famiglia, dove memorie, ricordi e sogni si dispongono, ad un primo sguardo, disordinati, ma tra i quali, con sentimento attento, troviamo risposte.

Per questo i miti, tutti i miti, sono a noi, a prescindere dalla cultura di appartenenza, perché, ancor prima di esprimere l’identità di un popolo, rappresentano il prodotto più inafferrabile del pensiero e dell’uomo.

Il mito è in ognuno di noi, ci abita, ci guida, ci disorienta, ci ammonisce, si impone chiedendoci adeguamento o sovversione. Non possiamo esimerci dagli dei perché gli dei sono l’estremo di noi, sono il limite valicato delle nostre pulsioni, sono l’assoluto mostruoso che non possiamo raggiungere, sono la dismisura alla quale tendiamo nel rischio del precipizio.   Il mostro è a noi come noi siamo sospinti al divino. Che sia figlio del fuoco mediterraneo o delle brume umide e delle acque nordiche, l’epifanico ci è necessario, è riparatore del disordine, è presenza e limite davanti al quale non possiamo avanzare. Davanti ad ogni frattura terrestre c’è un mostro. La cesura, lo spazio che interconnette interno ed esterno, infero e celeste è presieduta dal mostro che è esperienza corporea di umano e divino assieme.

Leonardo ci porta in questo spazio liminale, fatto di storie e di visioni, di sussurri e di nebbie sottili, ci fa entrare in uno spazio-corpo rispetto al quale siamo al contempo dentro e sopra, ci appoggiamo sulla pelle del mondo e allo stesso tempo siamo in lui e in noi stessi. Un viaggio vertiginoso ci trasforma in viandanti che attraversano un paesaggio senza risposte, eppure così ricco di verità sussurrate.

Verità che non sono dogmi, ma verità che sono vita.

Davide Sforzini